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La lavorazione del Pecorino Romano, limitata alle regioni del Lazio, della Sardegna e alla provincia di Grosseto in Toscana, è il frutto di secoli di esperienza. I passaggi fondamentali sono affidati ancora oggi alla mano dell’uomo, in particolare a quelle esperte del “casaro” e del “salatore”.
Il latte fresco di pecora, proveniente da greggi allevate allo stato brado e alimentate su pascoli naturali, viene trasferito nei centri di lavorazione con moderne cisterne refrigerate. Al suo arrivo nel caseificio il latte viene misurato, filtrato e lavorato direttamente crudo o termizzato ad una temperatura massima di 68° per non più di 15″.
Vengono così riempite le vasche di coagulazione dove viene aggiunto un fermento detto “scotta innesto”, preparato giornalmente dal casaro secondo una metodologia che si tramanda da secoli. L’innesto è uno degli elementi caratterizzanti del Pecorino Romano ed è costituito da un’associazione di batteri lattici termofili autoctoni.
Aggiunto l’innesto, il latte viene coagulato ad una temperatura compresa tra i 38° e i 40° utilizzando il caglio di agnello in pasta. Accertato l’ottimale indurimento del coagulo, il casaro procede alla rottura dello stesso fino a quando i coaguli di cagliata non raggiungono le dimensioni di un chicco di grano.
Dopo il raffreddamento, le forme sono sottoposte alla marchiatura. Il marchio della DOP è apposto con una matrice che imprime sulla forma, oltre alla denominazione di origine del formaggio e al marchio (la testa stilizzata di una pecora), anche la sigla del caseificio produttore e la data di produzione.